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Il settore siderurgico italiano non si sottrae al destino di gran parte dell’industria del Paese. La flessione della produzione, nel 2013, è stata dell’11,4%, la quarta riduzione dal 2008. Il fatturato segue grosso modo lo stesso andamento declinante. Ciò nonostante, con una produzione attuale di poco superiore a 24 milioni di tonnellate annue, la siderurgia italiana continua ad occupare il secondo posto in classifica tra i produttori europei, dopo la Germania, e l’undicesimo posto a livello mondiale. Inoltre, pur ridimensionata, continua ad essere un importante comparto del sistema industriale italiano con un peso ancora rilevante in termini di contributo al PIL (con oltre 30 miliardi di fatturato diretto) e con una importante dimensione occupazionale: quasi 42 mila addetti diretti che arrivano a 70 mila se si considerano gli occupati indiretti.

E’ quanto emerge dal “Rapporto sull’industria siderurgica in Italia” elaborato dal Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri. Il documento contiene anche i risultati di una consultazione che il Centro Studi ha condotto su un campione di 3500 ingegneri professionisti. Lo scopo era quello di cogliere il punto di vista di una classe professionale da sempre al centro delle dinamiche tecnico-industriali in questo strategico settore produttivo. Agli ingegneri sono state chieste opinioni sul ruolo del sistema siderurgico nazionale e sulle sue prospettive, sulle problematiche connesse alla capacità del comparto di mantenersi competitivo e trasformarsi in industria sostenibile, sul ruolo che il management e le compagini proprietarie possono giocare nelle strategie di rilancio oltre che sull’efficacia della governance pubblica.

“Da questa ricerca – afferma l’Ing. Fabio Bonfà, Vice Presidente Vicario del CNI – emerge come in questo settore l’Italia abbia competenze, professionalità e grande tradizione. Senza dubbio la nostra industria siderurgica ha bisogno di essere rimodellata sulla base delle nuove esigenze imposte dal mercato globale. Ma, al tempo stesso, proprio perché espressione di un’eccellenza italiana, va mantenuta e salvaguardata”.

Per Luigi Ronsivalle, Presidente del Centro Studi CNI, “la siderurgia continua ad essere un settore trainante nel nostro sistema manifatturiero e può rimanere uno dei più importanti del mondo nonostante la grave e prolungata crisi economica”.

Il rapporto del Centro Studi mostra come l’acciaio resti una delle materie prime utilizzate dai principali comparti del made in Italy: meccanica, automotive, produzione di elettrodomestici, cantieristica navale, produzione di veicoli. L’Italia è ancora oggi uno dei principali Paesi a maggiore specializzazione industriale ed il comparto dell’acciaio alimenta una parte consistente di tali specializzazioni. Di acciaio l’industria italiana ha bisogno. Un secondo aspetto rilevante è che una parte della siderurgia italiana si sta progressivamente orientando verso prodotti di qualità, con acciai speciali, di nicchia e con processi di lavorazione che sono sempre meno a ciclo continuo, propri dell’industria pesante, e sempre più vicino alle catene specialized supplyers, su commessa. Per questo esistono i presupposti per un riposizionamento efficiente.

Su queste problematiche gli ingegneri italiani sembrano avere idee chiare. Sono quattro i fattori di successo e le opportunità che individuano per il rilancio del comparto: rafforzamento dei legami con le principali filiere manifatturiere (84,2%); specializzazione crescente sull’alta qualità (86,6%); cicli produttivi eco-compatibili (84,7%); farne una leva per la competizione internazionale (62,5%). Non mancano, tuttavia, serie minacce, tra cui gli alti costi per l’approvvigionamento energetico (71,3%) e il ruolo marginale della siderurgia europea nel mercato globale (52%).

“Emerge chiaramente dall’indagine – riflette Bonfà – che gli ingegneri non considerano solo la leva tecnologica come strumento per il rilancio della siderurgia italiana, ma che produzioni eco-compatibili e rispettose della salute dei lavoratori  devono essere al centro di qualunque operazione di rafforzamento dell’industria siderurgica e, aggiungerei io, dell’industria italiana nel suo complesso”.

Gli ingegneri interpellati dal Centro Studi individuano anche le leve strategiche per il rilancio della siderurgia italiana. Sul piano interno quelle considerate più rilevanti sono innovazione, qualità dei prodotti, investimenti sul riciclaggio degli scarti, competenze e nuove professionalità. Sul mercato estero una nuova politica energetica, una politica industriale specifica per il comparto siderurgico, investimenti e incentivi sulla ricerca. Un quarto punto importante riguarda l’esperienza vissuta con l’Ilva di Taranto. Tra le misure che gli ingegneri italiani considerano più utili ad evitare altri casi Ilva vengono segnalati: controlli più tempestivi ed efficaci sull’ambiente (60,3%); incentivi alle aziende che rispettano l’ambiente (49,1%); procedure per le autorizzazioni ambientali chiare e semplici (36,2%).

“Lo studio – afferma Ronsivalle - mette in evidenza un atteggiamento tutto sommato positivo da parte degli ingegneri intervistati che, conoscendo forse più di altri le potenzialità della realtà produttiva del Paese, vorrebbero che ne fossero esaltate le peculiarità rappresentate dalla qualità, dall'innovazione dei processi e dalla sostenibilità ambientale”.


“Le opinioni emerse  - prosegue Ronsivalle - ci dicono che quanto accaduto negli impianti di Taranto, e in altri di cui si è parlato forse meno, dovrebbe servire da stimolo per migliorare e rilanciare la nostra produzione con metodi innovativi e strategie di mercato più selettive, senza rinunciare alla salvaguardia della salute che non è incompatibile con la sostenibilità economica. Ciò vale per la siderurgia come per altri settori, per rilanciare i quali occorre raccogliere la sfida ardua, ma non impossibile, di puntare sulla nostra industria invertendo la tendenza a smantellarla progressivamente che ha caratterizzato il recente passato”.

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